Il Primo Maggio non si celebra, si reclama!
Nazionali

Il Primo Maggio non si celebra, si reclama!

Mag 1, 2025

Nota della Segreteria Generale della Fesica Confsal in occasione del “Primo Maggio” 2025

Carissimi,

oggi non è il giorno delle celebrazioni. È il giorno della verifica.

Oggi ci chiediamo: cosa significa davvero “festa del lavoro” in un Paese dove si può morire cadendo da un ponteggio per 80 euro al giorno? Dove la precarietà ha preso il volto della normalità?

L’anno scorso in Italia sono morti oltre 1077 lavoratori. Persone che non torneranno a casa. Non eroi, non statistiche: lavoratori. Madri, padri, figli. Uomini e donne che sono usciti per guadagnarsi il pane e hanno trovato la morte. Nessuno di loro ha firmato un contratto con scritto: “Rischio vita incluso”.

E allora diciamolo chiaramente: non è una fatalità. È una filiera di colpe.
È il risultato di appalti al massimo ribasso, dove il margine di profitto si ricava tagliando su sicurezza e formazione. Dove il subappalto del subappalto del subappalto genera una catena lunga e opaca, dove nessuno risponde di niente. Tranne chi è leso.

Lo ripetiamo da anni: la sicurezza non è un costo. È un diritto.
E dove non viene garantita, lo Stato ha il dovere di intervenire. Con controlli veri. Con sanzioni che fanno male, non con multe da catalogo. La patente a punti poi, da rivedere forse, è un provvedimento che andrebbe comunque esteso a tutti i settori, l’agricoltura in primis.

Poi ci sono i salari. Lavorare e restare poveri non è un paradosso, è il modello.
Più di 3 milioni di lavoratrici e lavoratori in Italia guadagnano meno di 9 euro lordi all’ora. Non c’è dignità senza salario dignitoso. Non c’è futuro se un contratto collettivo viene disatteso o aggirato sistematicamente.

Qui dobbiamo essere chiari anche sul nostro ruolo. Il sindacato può negoziare, può contrattare, può mobilitare. Ma non può da solo riscrivere le regole del mercato. Possiamo fare molto — e lo facciamo — ma non possiamo tutto. Questa chiarezza serve a tutti: a chi ci guarda con diffidenza e a chi ci segue con fiducia. Il sindacato non si tira indietro, ma non accetterà mai di essere usato come parafulmine per responsabilità altrui. Noi stiamo dalla parte del lavoro, sempre. E continueremo a batterci per contratti veri, giusti e rispettati.

Noi non chiediamo la luna. Chiediamo che si rispetti la Costituzione. L’articolo 36 dice che il lavoratore ha diritto a una retribuzione “sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Punto.

Certo, per quanto ci riguarda non è tempo di slogan, è tempo di responsabilità. E ognuno ne ha una parte: il governo, le imprese, ma anche noi. Il sindacato, a volte, non deve limitarsi a rincorrere i problemi. Deve stare dove il lavoro cambia, anche quando è difficile, anche quando è scomodo. Dove ci sono gli algoritmi, i rider, i lavoratori “invisibili” delle piattaforme. Deve esserci lì, anche lì, prima!

Non possiamo più permetterci un Primo Maggio simbolico fatto di passerelle, claque, musica e spettacoli. O addirittura ridurlo a una scampagnata tra amici.

Abbiamo bisogno di un Primo Maggio che pretenda, che disturbi, che pungoli!

Che ricordi a tutti — anche a chi ci ascolta da lontano — che il lavoro non è solo una parola da convegno. È carne, sudore, pensiero. È la misura della libertà di una persona.

Non chiediamo applausi. Chiediamo giustizia sociale.
E continueremo a chiederla finché ogni lavoratore non potrà dire: “Il mio lavoro è sicuro. Il mio salario è giusto. E la mia dignità è rispettata”.

La Segreteria Generale FESICA CONFSAL

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