
Gabbie salariali e delega al governo: il salario minimo italiano nel labirinto politico. Ora all’Esecutivo la parola definitiva
È stata approvata definitivamente dal Senato la legge che conferisce al governo la delega per introdurre in Italia una forma di salario minimo. Il provvedimento, nato come proposta delle opposizioni con l’intento di una legge immediatamente applicativa, è stato modificato dalla maggioranza alla Camera trasformandolo in una delega, lasciando quindi al governo la scelta se esercitarla o meno.
Il governo Meloni aveva già ricevuto, con la legge di delegazione europea 2022-23 approvata a febbraio 2024, una delega per recepire la direttiva europea sul salario minimo, ma finora non ne ha fatto uso. Con il nuovo testo approvato, il governo dovrà emanare entro sei mesi uno o più decreti legislativi seguendo principi ben definiti nel testo stesso. In particolare, tali decreti dovranno individuare, per ogni categoria di lavoratori, i contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente applicati, stabilendo che il trattamento minimo previsto da questi contratti rappresenti la soglia economica minima da riconoscere a tutti i lavoratori appartenenti a quella categoria.
Va precisato che questa normativa esclude i lavoratori del settore pubblico. La soglia minima di 9 euro proposta originariamente dalle opposizioni non è stata mantenuta nel testo definitivo. Nel dibattito parlamentare, tutte le opposizioni, inclusa Italia Viva, si sono espresse contro la delega. Quest’ultima aveva peraltro scelto di non firmare il disegno di legge presentato dai leader dei principali partiti di opposizione (Conte, Schlein, Bonelli, Fratoianni, Richetti di Azione e Magi di +Europa). La maggioranza ha anche respinto gli emendamenti di Annamaria Furlan, senatrice di Iv ed ex segretaria generale della Cisl, che richiedevano la concertazione con i sindacati per l’emanazione dei decreti legislativi.
Il testo approvato prevede inoltre strumenti per favorire il rafforzamento della contrattazione di secondo livello, cioè quella territoriale o aziendale, richiamando indirettamente il tema delle cosiddette “gabbie salariali”. Questa fase ha scatenato dure critiche da parte del Movimento 5 Stelle, che ha definito questa legge “una truffa per i lavoratori”, uno strumento propagandistico senza effetti reali sulle dinamiche salariali e una risposta del tutto insufficiente a fronte di quattro milioni di persone che svolgono lavori con paghe al di sotto della soglia di povertà.
Nel dibattito politico, il centrodestra ha sostenuto la delega al governo, pur manifestando critiche esplicite verso il salario minimo in sé: Raoul Russo di Fratelli d’Italia lo ha definito “un retaggio del socialismo reale” mentre Micaela Biancofiore lo ha bollato come “una misura assistenzialistica”. Curiosamente, nonostante queste riserve, la maggioranza ha comunque votato la delega per consentire la sua introduzione.
Per Walter Rizzetto, deputato di FdI e presidente della Commissione lavoro alla Camera, “è un grande risultato, adesso spetta al Governo stabilire criteri e parametri per una retribuzione proporzionata e sufficiente, ai sensi dell’articolo 36 della Costituzione, puntando sul rafforzamento della contrattazione collettiva. La strada vincente da seguire per stabilire un’equa retribuzione è quella di fare riferimento al contratto collettivo nazionale maggiormente applicato”.
Per il presidente del Cnel Renato Brunetta “al di là della divergenza di opinioni sulla introduzione di un salario minimo per legge e sulla tenuta del nostro sistema di relazioni industriali in assenza di una legge sulla rappresentanza, si registra l’impegno delle istituzioni ad incrementare la trasparenza in materia di dinamiche salariali e contrattuali, tanto a livello nazionale che decentrato e con attenzione alle specificità di ciascun settore, così da contrastare fenomeni di dumping contrattuale, l’evasione contrattuale e contributiva e forme di concorrenza sleale. Il Governo è ora delegato ad adottare tutte le misure necessarie per la trasparenza dei trattamenti retributivi”.
Questo passaggio legislativo rappresenta dunque un primo passo, ma ancora molto incerto, verso l’introduzione di un salario minimo in Italia, con il governo chiamato però, entro pochi mesi, a definire modalità e criteri concreti per la sua applicazione.
R.F.