Difficoltà nella diffusione di una cultura della sicurezza, emergere di fattori di rischio, collegati alla mancanza di tutele e di rispetto dei diritti per i lavoratori, ruolo determinante assunto dalle reti territoriali, centralità di efficaci azioni di formazione e informazione.
Sono queste le principali evidenze scaturite dalla ricerca «La mappa dell’imprenditoria immigrata in Italia. Dall’integrazione economica alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro», realizzata da un gruppo di ricercatori nell’ambito di una partnership composta dal Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre e dal Censis – Fondazione Centro Studi Investimenti Sociali, grazie al supporto dell’Inail. L’indagine rivela che molti degli imprenditori di origine straniera hanno avuto precedenti esperienze di lavoro subordinato in Italia negli stessi settori in cui hanno poi deciso di avviare un’impresa.
Ma in tema di sicurezza nei luoghi di lavoro l’accezione prevalente che emerge è quella di carattere meramente formale. Infatti, per il 45,6% del totale si tratta di un obbligo di legge mentre per il 42,3% la sicurezza sul lavoro si connota per un’accezione positiva, con il 19,6% del totale che associa ai concetti di tutela della salute e di sicurezza sul lavoro quello di responsabilità condivisa con i lavoratori. Seguono gli imprenditori che percepiscono la sicurezza sul lavoro come un dovere morale (15,1%), un investimento (4,5%) e, infine, come un valore aggiunto (3,1%) per l’azienda. Il 12,1% dei rispondenti, invece, considera negativamente la messa in sicurezza della propria attività e la percepisce principalmente come un costo.
A prescindere dalla percezione soggettiva, il 58,3% degli intervistati dichiara di conoscere la normativa che regola la materia ma una quota significativa di datori di lavoro di origine straniera, pari al 29,1% del campione, ha difficoltà ad adempiere gli obblighi previsti e manifesta il bisogno di poter contare su forme di aiuto. In tale direzione, per la risoluzione dei problemi inerenti la sicurezza del lavoro, il 40,5% degli intervistati si rivolge alla figura del consulente esterno, la risoluzione in autonomia è la modalità preferita dal 25% degli imprenditori, le reti informali o primarie, composte da amici e conoscenti, soprattutto connazionali o di altra nazionalità si collocano al terzo posto con il 17,4%. Il ricorso diretto all’Inail è indicato solo dal 6,4% del campione intervistato e ancora meno quello alle associazioni di categoria, i cui servizi sono presi in considerazione solo da un residuo 4,6%.
La formazione e l’aggiornamento in materia di salute e sicurezza sul lavoro non costituiscono una priorità degli imprenditori stranieri, a prescindere che rivestano anche il ruolo di datori di lavoro. Infatti, solo il 36,7% di chi ha alle proprie dipendenze dei lavoratori ha preso parte negli ultimi tre anni ad almeno un corso di formazione o aggiornamento in tale ambito, mentre il 63,3% non ha partecipato a nessun corso.