Sicurezza sul lavoro. La Cassazione sugli obblighi di prevenzione del datore di lavoro

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Sicurezza sul lavoro. La Cassazione sugli obblighi di prevenzione del datore di lavoro

L’ultima affermazione di principio, in ordine di tempo, è arrivata nella vicenda Ilva con l’ordinanza del Tribunale di Taranto, resa pubblica lo scorso 7 gennaio, che ha autorizzato la proroga della facoltà d’uso dell’altoforno 2. Ebbene, la pronuncia in questione, contiene, nelle motivazioni, anche un passaggio su un argomento delicato, vale a dire l’importanza del principio di determinatezza nell’individuazione degli obblighi dell’impresa in materia di sicurezza sul lavoro. In particolare, la magistratura tarantina ha affermato un principio in linea con l’insegnamento della giurisprudenza comunitaria, della Corte costituzionale e della Cassazione, laddove presuppone l’individuazione di una prescrizione puntuale, in questo caso proveniente dall’Autorità competente, legata ai tempi strettamente necessari, e che definisce «con precisione quali misure devono essere adottate», tale da mettere in condizione il soggetto obbligato di sapere esattamente cosa fare. In via ordinaria, tali requisiti devono essere contenuti nella legge, nel caso dell’Ilva la straordinarietà della situazione e la stessa normativa attribuiscono al custode il potere di determinare i contenuti dell’obbligo. La certezza del diritto. Ma l’ordinanza del Tribunale di Taranto si rileva interessante anche perché proprio l’individuazione precisa dell’obbligo – in quanto non autodeterminata dal destinatario dell’obbligo e non generica – realizza essa stessa il ragionevole bilanciamento degli interessi confliggenti, vale a dire tutela della produzione e tutela della sicurezza.

Il punto è che sono ormai dieci anni che sul versante della individuazione e attribuzione della responsabilità penale in tema di infortuni sul lavoro e malattie professionali, la giurisprudenza ha adottato una linea interpretativa sostanzialmente univoca e ormai consolidata: la regola cautelare che integra e delimita l’ampiezza degli obblighi penali del datore di lavoro non può rinvenirsi in norme che attribuiscono compiti senza individuare le modalità di assolvimento degli stessi, dovendosi, invece, aver riguardo esclusivamente a norme, di natura necessariamente modale, che indicano con precisione le modalità e i mezzi necessari per evitare il verificarsi dell’evento. Di questo principio, radicato nel diritto vivente, il Legislatore, oggi, non può non tener conto anche in sede di modifica del Dlgs 81 del 2008 (per questo le imprese chiedono a Nunzia Catalfo, in vista del faccia a faccia a inizi febbraio, di recepirlo in una chiara norma di legge).

La linea della giurisprudenza. «Negli ultimi anni – evidenzia Marco Marazza, ordinario di diritto del lavoro all’università Cattolica di Roma – i giudici hanno sempre meglio puntualizzato l’area della responsabilità penale valorizzando anche l’esigenza di regole di comportamento sufficientemente specifiche. E lo stesso principio può avere importanti ripercussioni anche sul versante della responsabilità civile, se si considera che non è possibile qualificare come colposo il comportamento di chi ha agito, in un determinato momento storico, sulla base di dati normativi o acquisizioni scientifiche che avvaloravano la legittimità della condotta o l’insussistenza di un rischio. Può essere emblematico il caso dell’utilizzo dei telefonini, che per l’istituto superiore della sanità allo stato non sembra comportare un rischio per la salute». L’equilibrio tra principi Ma cosa dice, in concreto, la giurisprudenza? Che per punire, non basta individuare il soggetto destinatario degli obblighi di sicurezza – ossia il soggetto garante chiamato a gestire le situazioni pericolose rientranti nella propria sfera di competenza – , ma, nello specifico, che «deve poi essere individuata la regola cautelare che integra e delimita l’ampiezza di questa posizione gestoria».

Questa regola cautelare (ossia l’adempimento che si presume omesso dal soggetto obbligato), ribadisce ancora la Cassazione fin dal 2010, «non può rinvenirsi in norme che attribuiscono compiti senza individuare le modalità di assolvimento degli stessi, dovendosi, invece, aver riguardo esclusivamente a norme che indicano con precisione le modalità e i mezzi necessari per evitare il verificarsi dell’evento. Insomma la certezza del diritto, cioè la determinatezza degli obblighi, non è solamente funzionale alla certezza delle responsabilità penali, ma è ancor prima condizione essenziale per la precisa individuazione degli obblighi prevenzionali. È proprio questa precisione posta dal Legislatore a garantire il ragionevole equilibrio tra interessi fondamentali (salute e ambiente, lavoro e occupazione). Questo perché tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri.

Così come ricorda ancora la giurisprudenza costituzionale quando afferma che la tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro. Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona». Principi, questi, in linea con quelli della giustizia comunitaria – secondo cui la garanzia della certezza del diritto fa sì che i singoli possano contare su una situazione giuridica chiara e precisa, che consenta loro di sapere esattamente quali sono i loro diritti e gli obblighi – e della Corte europea dei diritti dell’uomo, in termini di «certezza e prevedibilità».