[VADEMECUM] “Le contestazione disciplinari”

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[VADEMECUM] “Le contestazione disciplinari”

A cura di *Paolo Trivisonno

Nel rapporto di lavoro è possibile incappare in contestazioni disciplinari mosse dal datore di lavoro, circostanze che richiedono particolare attenzione da parte del lavoratore, che a volte può non prendere nella dovuta considerazione l’eventuale lettera di contestazione. Pur essendo situazioni che possono capitare nel corso della vita lavorativa, è importante comprendere l’importanza e il peso della contestazione e del comportamento da assumere a fronte della stessa, anche se il fatto contestato può apparire – o effettivamente essere – di scarsa importanza. Infatti la recidiva, ovvero il ripetersi di mancanze che singolarmente possono non essere particolarmente gravi, può comportare pesanti conseguenze per il lavoratore.

La materia è disciplinata dal codice civile (articoli 2104, 2105 e 2106), dall’articolo 7 della legge 300/70 – che disciplina la procedura cui devono attenersi tanto il datore di lavoro quanto il lavoratore per contestare infrazioni e difendersi dalle stesse – e dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, questi ultimi soprattutto nello stabilire le sanzioni applicabili in base al tipo di infrazione.

Proprio il rispetto dei tempi e delle modalità previsti dalle norme vigenti è fondamentale per una difesa efficace in caso di contestazione disciplinare; quindi la conoscenza di tempi e modalità è fondamentale, perché il mancato rispetto delle procedure può essere causa dell’impossibilità di annullare sanzioni applicate dall’azienda.

LA LETTERA DI CONTESTAZIONE

Le norme vigenti prevedono l’obbligo per il datore di lavoro, prima di poter irrogare qualsiasi sanzione al dipendente, di contestare le presunte mancanze per iscritto al dipendente, consentendogli contestualmente di fornire le proprie difese entro un certo termine.

Tale comunicazione deve rispettare alcuni requisiti, quali quello dell’immediatezza e della specificità.

Quanto all’immediatezza, le norme vigenti non prevedono un termine temporale definito entro il quale la contestazione debba essere tassativamente inviata al dipendente; in base alla giurisprudenza in materia, la tempistica della contestazione deve essere valutata tenendo conto della necessità del datore di lavoro di avere conoscenza ed accertare i fatti oggetto della contestazione, quindi il datore di lavoro non può ritardare l’invio della contestazione oltre il tempo strettamente necessario ad accertare i fatti; qualsiasi ritardo non dovuto a necessità di accertare l’esistenza, la rilevanza disciplinare e la gravità dei fatti lederebbe il diritto di difesa del lavoratore, che ovviamente può avere difficoltà a ricostruire fatti molto distanti nel tempo.

E’ quindi per esempio illegittimo il comportamento di un datore di lavoro che ritardi l’invio della contestazione al fine di far ripetere il comportamento oggetto della contestazione al lavoratore e renderlo così più grave.

In caso di contenzioso sulla tempestività della contestazione, sarà onere del datore di lavoro dimostrare che la tempistica della contestazione era strettamente legata alle necessità sopra illustrate.

La contestazione deve essere poi specifica, ovvero deve contenere una descrizione puntuale e circostanziata dei fatti contestati, che devono essere quindi individuati con riferimento al tempo e allo spazio (chi ha fatto cosa, dove e quando), alle modalità (ovvero in cosa si sia concretizzata l’infrazione: azioni, parole, omissioni, ecc.), alle persone presenti, ai soggetti che hanno rilevato l’infrazione e con quali modalità.

La lettera di contestazione è immutabile, nel senso che i fatti oggetto della lettera di contestazione devono coincidere con quelli della successiva sanzione; perciò una volta individuati nella lettera di contestazione i fatti, gli stessi non possono in alcun modo essere successivamente modificati, integrati, precisati, aggiunti, ecc., dal datore di lavoro.

LA DIFESA DEL LAVORATORE 

Ricevuta la lettera di contestazione il lavoratore può, nel termine di 5 giorni, fornire le proprie contro-deduzioni rispetto agli addebiti mossi.

Tali difese possono essere fornite per iscritto o chiedendo di essere ascoltato, in questo secondo caso il lavoratore può chiedere di essere assistito nell’audizione da un sindacalista di propria fiducia (la legge 300/70 prevede esclusivamente la figura del sindacalista, per cui l’azienda potrebbe rifiutare audizioni con assistenza di figure diverse, quale quella, ad esempio, di un avvocato).

La valutazione circa l’opportunità di fornire le giustificazioni per iscritto o oralmente, oppure di non fornirle affatto, deve essere attentamente svolta dal lavoratore insieme al sindacato o al professionista di propria fiducia.

Se il lavoratore chiede di essere ascoltato a propria difesa, il datore di lavoro è tenuto a svolgere l’audizione senza potersi opporre alla richiesta; alcuni CCNL possono prevedere dei termini precisi entro i quali l’audizione deve essere svolta.

Il lavoratore che chiede l’audizione è quindi tenuto a presentarsi una volta ricevuta dal datore di lavoro comunicazione con l’appuntamento per svolgere l’audizione, dovendo eventualmente giustificare eventuali richieste di differimento dell’incontro e non potendo porre in atto comportamenti meramente dilatori.

Nel caso in cui il lavoratore fornisca per iscritto le proprie giustificazioni, dovrà prestare particolare attenzione alle stesse, per evitare di scrivere in buona fede qualcosa che, invece di rappresentare una giustificazione, possa essere inteso quale conferma degli addebiti contestati.

L’eventuale scelta di non fornire giustificazioni deve essere anch’essa attentamente valutata con riferimento al caso specifico, rappresentando una legittima strategia difensiva e non una forma di ammissione di colpa, come confermato dalla giurisprudenza in materia.

In merito al termine di 5 giorni per le giustificazioni, in base alla giurisprudenza in materia, tale termine deve essere considerato come segue: nel computo dei 5 giorni non si tiene conto del giorno in cui il lavoratore ha ricevuto la comunicazione (quindi il termine decorre dal giorno successivo), si tiene conto dei giorni festivi intermedi, mentre se l’ultimo dei 5 giorni è festivo, la scadenza si proroga al giorno successivo.

L’IRROGAZIONE DELLA SANZIONE

 Acquisite le giustificazioni del lavoratore o comunque trascorsi i 5 giorni nel caso in cui il lavoratore sia rimasto inerte, il datore di lavoro ha facoltà di irrogare una sanzione disciplinare.

Alcuni CCNL prevedono un termine specifico entro il quale la sanzione deve essere irrogata (ad esempio entro 15 giorni dal ricevimento delle giustificazione del lavoratore o dallo spirare del termine dei 5 giorni); in tali casi l’eventuale sanzione tardiva è nulla.

Unica eccezione al potere del datore di lavoro di applicare una sanzione prima che siano trascorsi 5 giorni dalla contestazione è quella del rimprovero verbale.

L’irrogazione della sanzione deve avvenire per iscritto con comunicazione motivata (ai fini della motivazione il datore di lavoro può anche semplicemente rinviare integralmente alla lettera di contestazione).

Le sanzioni possibili sono il richiamo verbale o scritto, la multa, la sospensione e il licenziamento.

Il datore di lavoro nell’irrogare la sanzione deve attenersi a criteri di proporzionalità e di gradualità (la stessa mancanza, se ripetuta, sarà oggetto di sanzioni crescenti; in tal caso la recidiva dovrà essere espressamente richiamata nella comunicazione).

L’art. 7 della legge 300/70 dispone che le sanzioni applicate non possono comportare un mutamento definitivo del rapporto di lavoro (ad esempio cambi di mansioni e/o trasferimenti).

L’IMPUGNAZIONE DELLA SANZIONE

Ricevuta l’eventuale sanzione, il lavoratore può impugnarla in due diversi modalità.

Può chiedere alla competente Direzione Territoriale del Lavoro (oggi Ispettorato Territoriale del Lavoro) la costituzione di un collegio di arbitrato.

Tale richiesta deve essere tassativamente presentata entro 20 giorni dal ricevimento della sanzione; il lavoratore deve nominare una persona come proprio arbitro di parte in seno al collegio.

La D.T.L., ricevuta la richiesta, provvede a darne comunicazione al datore di lavoro; se questi intende aderire al collegio di arbitrato, è tenuto entro 10 giorni dalla comunicazione ricevuta dalla D.T.L., a comunicare il nome del proprio arbitro di parte.

Il datore di lavoro può anche decidere di non aderire al collegio di arbitrato e rivolgersi, sempre nel termine di 10 giorni, al giudice ordinario.

Nel caso in cui il datore di lavoro nel termine dei 10 giorni, non provveda né a nominare il proprio arbitro né a ricorrere al giudice, la sanzione decade.

Nominati gli arbitri, le parti possono individuare di comune accordo il presidente del collegio; nel caso in cui non si accordino, il presidente viene nominato dal direttore della D.T.L.

La procedura non è gratuita, in quanto il presidente del collegio dovrà essere retribuito dalle parti.

L’attivazione della procedura di arbitrato comporta la sospensione della sanzione fino a pronuncia del collegio, il quale può annullare, conferma o ridurre la sanzione, ma non aumentarla.

La pronuncia del collegio, detta lodo, può essere successivamente impugnata dalle parti solo per motivi di legittimità e non nel merito della decisione.

L’alternativa al collegio di arbitrato è l’impugnazione davanti al giudice; in questo caso il lavoratore non è soggetto al termine dei 20 giorni, ma può agire nei termini della prescrizione ordinaria (10 anni); il ricorso al giudice non comporta la sospensione della sanzione che può quindi essere applicata.

Le due possibili strade sono ovviamente molto diverse e la valutazione circa l’opportunità di impugnare la sanzione in sede di collegio di arbitrato o in sede giudiziaria dovrà essere attentamente valutata con riferimento al caso specifico.

IL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE

Nel caso in cui la sanzione applicata dal datore di lavoro sia il licenziamento, i termini di impugnazione sono diversi: il lavoratore dovrà inviare comunicazione stragiudiziale di impugnazione del licenziamento (ad esempio tramite raccomandata con avviso di ricevimento), entro 60 giorni, quindi dovrà procedere a depositare eventuale ricorso giudiziario al giudice del lavoro entro i successivi 180 giorni.

Il mancato rispetto di tali termini comporta la decadenza dal diritto ad impugnare il licenziamento, che divieni quindi definitivo.

LA SOSPENSIONE CAUTELARE

 Per le infrazioni più gravi – ovvero quelle che possono portare al licenziamento del lavoratore – il datore di lavoro può disporre la sospensione cautelare del dipendente; tale sospensione non rappresenta una sanzione e deve essere retribuita.

L’ESPOSIZIONE DEL CODICE DISCIPLINARE

 L’articolo 7 della legge 300/70 prevede che le norme disciplinari debbano essere esposte sul luogo di lavoro o comunque portare a conoscenza del dipendente.

Il codice disciplinare deve essere esposto, permanentemente, sul luogo di lavoro; in caso di azienda con più unità produttive, deve essere esposto in ogni unità produttiva.

In merito è opportuno precisare che l’inadempimento del datore di lavoro a tale obbligo non sempre può essere opposto alla contestazione disciplinare.

La giurisprudenza in materia ha infatti ripetutamente affermato come la mancata esposizione del codice disciplinare non comporti la nullità di quelle sanzioni applicate in merito a comportamenti che il lavoratore può riconoscere come sanzionabili anche in assenza del codice disciplinare (ad esempio il furto o la rissa sul posto di lavoro).

DA RICORDARE:

  • Il termine per fornire le giustificazioni ad una lettera di contestazione disciplinare è di 5 giorni;
  • Non sottovalutare le contestazioni, ma ricordare che anche quelle relativi a fatti di poca importanza possono comportare, soprattutto se ripetute, gravi conseguenze;
  • E’ sempre consigliabile rivolgersi ad una persona esperta in materia (sindacalista, avvocato, ecc.), prima di fornire giustificazioni, scritte o orali che siano;
  • Il termine per impugnare l’eventuale sanzione tramite collegio di arbitrato è di 20 giorni;
  • La lettera di contestazione disciplinare non è una sanzione; la contestazione cui non segue l’applicazione della sanzione disciplinare, non ha alcuna rilevanza ai fini della recidiva e del curriculum del lavoratore;
  • In caso di licenziamento, il provvedimento deve essere impugnato in via stragiudiziale entro 60 giorni, e in via giudiziale nei successivi 180 giorni;
  • Tutti gli atti formali relativi alla procedura disciplinare sono considerati atti unilaterali ricettizi, ovvero producono effetti nel momento in cui sono consegnati al destinatario; in merito si sottolinea come le raccomandate per cui il postino lascia avviso nella cassetta delle lettere devono sempre essere ritirate dal lavoratore; infatti la raccomandata che torna al mittente per compiuta giacenza si considera come ricevuta dal destinatario a tutti gli effetti di legge; quindi non ritirare le raccomandate è un atto tutt’altro che “furbo”, in quanto la comunicazione sarà comunque valida per il datore di lavoro, ma il lavoratore non ne conoscerà il contenuto e non potrà quindi nemmeno adottare le opportune difese;
  • Ai fini della recidiva l’art. 7 della legge 300/70 dispone che non debba tenersi più alcun conto delle sanzioni disciplinari, trascorsi due anni dalla loro applicazione;
  • Che dopo 3 sanzioni disciplinari scatti automaticamente il licenziamento è una leggenda metropolitana; il licenziamento è il massimo provvedimento disciplinare, dalle conseguenze drastiche e come tale deve essere sempre proporzionato alla gravità delle mancanze; quindi non è vero che “dopo 3 lettere scatta automaticamente il licenziamento”.

*segretario provinciale Fesica Confsal Roma