Chiara la sentenza n. 24100 del 26 settembre 2019 della Cassazione
Co.co.pro. «fittizi» con le spalle al muro. Qualora un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza individuare uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, presentando quindi tutti gli elementi tipici ed essenziali del lavoro subordinato (art. 2094 cod. civ.), ossia l’eterodirezione da parte del datore di lavoro, nonché la soggezione al potere disciplinare datoriale, scatta la conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione. In tali casi, inoltre, trova applicazione, ai fini della indennità risarcitoria, l’art. 32, co. 5 della legge 183/2010 (Collegato lavoro) che prevede un’indennità onnicomprensiva compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Dunque, tale disposizione deve ritenersi applicabile non soltanto ai contratti a termine ma a tutte le tipologie contrattuali che prevedono un termine finale di durata (come per esempio il progetto). A stabilirlo è la Corte di cassazione con la sentenza n. 24100 del 26 settembre 2019.
Il caso. La vicenda portata all’attenzione della Suprema Corte riguarda un lavoratore che, in conseguenza di reiterate instaurazioni di co.co.pro., a norma degli artt. 61 e 62 del dlgs. 276/2003, chiedeva la trasformazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. La domanda è stata accoglimento sia in primo che secondo grado di giudizio, poiché è stato effettivamente accertato che i dieci contratti di co.co.pro. stipulati tra il datore di lavoro e il lavoratore nascondevano, in realtà, l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato (art. 2094 cod. civ.). Nel caso di specie, infatti, sussistevano gli elementi essenziali dell’eterodirezione dell’attività del lavoratore e della sua soggezione al potere disciplinare datoriale, in base alle scrutinate risultanze istruttorie. Alla luce di ciò, la Corte d’Appello di Roma ha condannato la società alla trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, con inquadramento professionale corrispondente alle mansioni di cameraman (livello D2) del Ccnl di settore, nonché al pagamento delle differenze retributive, per il periodo «19 settembre 2003 – 30 giugno 2009», e delle retribuzioni successivamente spettanti sino alla data della pronuncia. I giudici di merito hanno liquidato il danno subito dal lavoratore nel periodo intermedio (tra la cessazione della prestazione in fatto e la pronuncia) in applicazione della normativa di diritto comune e non dell’art. 32, co. 5 della legge 183/2010. Nonostante le due pronunce sfavorevoli il datore di lavoro ha impugnato la sentenza, ricorrendo in Corte di cassazione.
Regime sanzionatorio. L’art. 32, co. 5 e 6 della legge 183/2010 (cd. Collegato lavoro) ha modificato la disciplina relativa al regime sanzionatorio in caso di dichiarazione di nullità del termine, pur mantenendo la «conversione» del rapporto a tempo indeterminato. Infatti, al quinto comma della citata norma è previsto che nei casi di conversione del contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 della legge n. 604/1966. Il limite massimo dell’indennità risarcitoria è ridotto della metà in presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine, nell’ambito di specifiche graduatorie (co. 6).
La difesa. Il ricorrente lamentava che la Corte d’Appello non avesse correttamente individuato gli elementi distintivi del rapporto di lavoro subordinato con quello autonomo professionale che era in atto tra le parti, in quanto era assente un potere direttivo datoriale (tanto meno disciplinare, né conformativo della prestazione). A detta del datore di lavoro, infatti, il rapporto di lavoro era caratterizzato semplicemente dalla presenza di semplici direttive programmatiche rispettose dell’autonomia del prestatore d’opera. Infine, il datore di lavoro deduceva violazione dell’art. 32, co. 5 della legge n. 183/2010, per la non corretta liquidazione del danno risarcibile al lavoratore nel periodo intermedio (tra la cessazione della prestazione in fatto e la pronuncia della Corte d’appello) sulla base delle retribuzioni maturate e non dell’indennità omnicomprensiva prevista dalla norma denunciata.
La sentenza. I giudici della Suprema Corte, nel confermare la trasformazione del co.co.pro. in contratto a tempo indeterminato, hanno fornito un’interpretazione differente in tema di sanzioni dell’indennità risarcitoria. Infatti, gli ermellini hanno confermato la portata estensiva dell’art. 32, co. 5 della legge 183/2010. In particolare, dalla lettura del quarto comma dello stesso articolo emerge sia il richiamo esclusivamente all’istituto del contratto a tempo determinato sia la natura generica e indistinta della formula «casi di conversione del contratto a tempo determinato» ivi contenuta. Pertanto, hanno affermato i giudici di legittimità, la generica formula è estendibile all’accertamento di ogni ragione che comporti la stabilizzazione del rapporto, dunque a qualsiasi ipotesi di riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in sostituzione di qualsiasi altra fattispecie contrattuale a tempo determinato. In conclusione, la Corte di cassazione ha ritenuto applicabile l’art. 32, co. 5 della legge n. 183/2010 anche alle ipotesi di illegittimità del contratto di collaborazione coordinate a progetto, evidenziando: • da un lato, la natura ontologica a tempo determinato di tale tipologia contrattuale, destinata a cessare una volta eseguito il progetto; • dall’altro, la presenza del fenomeno dell’automatica conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione e senza necessità di accertamenti giudiziali sulla natura del rapporto, in mancanza del progetto specifico.