L’articolo 36 della Costituzione detta dei requisiti ben precisi che le retribuzioni corrisposte ai lavoratori devono rispettare per essere considerate adeguate: quelli riconducibili ai principi di proporzionalità e sufficienza. In assenza di un salario minimo legale, il parametro per verificare il rispetto dei predetti requisiti è da tempo rinvenuto dalla giurisprudenza nei contratti collettivi nazionali di lavoro. Tuttavia, ancora oggi non sempre vi è chiarezza su quando effettivamente una retribuzione possa dirsi conforme ai principi dettati dall’articolo 36 e la Corte di cassazione è quindi chiamata frequentemente a svolgere un ruolo interpretativo di primario rilievo in tale ambito.
Ultimamente i giudici di legittimità (Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza 25 marzo 2019, numero 8299), dopo aver ribadito che rispetto alla retribuzione stabilita dai contratti collettivi vi è una presunzione di adeguatezza ai principi di proporzionalità e sufficienza, ha precisato che tale presunzione «investe le disposizioni economiche dello stesso contratto anche nel rapporto interno fra le singole retribuzioni ivi stabilite».