RdC, ai datori di lavoro fare i «furbetti» costa caro. Le novità dell’art. 7 del dl n. 4/2019

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RdC, ai datori di lavoro fare i «furbetti» costa caro. Le novità dell’art. 7 del dl n. 4/2019

Fare i furbi con il Rdc costa molto caro ai datori di lavoro. Qualora dovessero occupare in nero soggetti beneficiari del sussidio, infatti, ci sarebbe l’aggravante e l’applicazione della sanzione in misura maggiorata del 20 per cento con gli importi variabili da 2.160 (impiego fino a 30 giorni) a 51.840 euro (impiego oltre 60 giorni). In caso di recidiva negli ultimi tre anni, gli importi della sanzione salirebbero di un ulteriore 20 per cento: da 2.520 (impiego fino a 30 giorni) a 60.480 euro (impiego oltre 60 giorni).

La novità è prevista dal nuovo comma 15-bis, aggiunto all’art. 7 del dl n. 4/2019 in sede di conversione in legge.  La misura, evidentemente, mira a scoraggiare comportamenti fraudolenti e, in particolare, la possibilità di occuparsi in nero e beneficiare del Rdc per arrotondare lo stipendio, magari con la complicità dello stesso datore di lavoro che ne ricaverebbe uno sconto in busta paga. Perciò, il nuovo comma 15-bis modifica l’art. 3, comma 3- quater del dl n. 12/2002 (convertito dalla legge n. 73/2002), al fine di introdurre tra le aggravanti, appunto, l’ipotesi di occupazione in nero «di lavoratori beneficiari del reddito di cittadinanza».

La disciplina sanzionatoria trova applicazione in tutti i rapporti di lavoro privati, con eccezione di quelli domestici.

Per lavoro nero (o sommerso) s’intende, comunemente, la situazione in cui il datore di lavoro occupa manodopera non dichiarata, cioè lavoratori subordinati (dipendenti) senza preventiva comunicazione d’instaurazione del rapporto di lavoro (la Co). In questi casi, le sanzioni sono doppie: sanzioni civili e amministrative. Le sanzioni civili sono quelle connesse al mancato versamento dei contributi per la fattispecie «evasione»; la sanzione amministrativa, invece, fa riferimento all’aspetto «contrattuale» del rapporto di lavoro ed è la c.d. maxi-sanzione. La maxi-sanzione. Si applica a tutti i datori di lavoro privati con la sola esclusione di quelli domestici, come già accennato. La misura non è unica (è stata d’importo fino al 23 settembre 2015), ma graduata «per fasce» con riferimento alla durata del comportamento illecito (gli importi sono indicati in tabella).

Peraltro, gli importi sono stati oggetto di aumento del 20%, a partire dal 1° gennaio 2019, per effetto della legge bilancio 2019 (art. 1, comma 445, della legge n. 145/2018). Per queste violazioni è possibile il ricorso alla procedura di diffida, il che consente una riduzione delle sanzioni. Le ipotesi aggravanti. La disciplina sanzionatoria, inoltre, prevede che gli importi delle sanzioni siano aumentati del 20% in alcune particolari fattispecie e, precisamente, in caso d’impiego:

  • di lavoratori stranieri non in possesso di un valido permesso di soggiorno;
  • di lavoratori di minori in età non lavorativa;
  • A queste, con l’entrata in vigore della legge di conversione del dl n. 4/2019, si aggiungerà la nuova ipotesi dell’impiego di «lavoratori beneficiari del reddito di cittadinanza». In questi casi non è consentito il ricorso alla procedura di diffida;
  • La recidiva. Vale la pena ricordare, infine, che gli importi delle sanzioni sono oggetto di ulteriore aumento in caso di recidiva del datore di lavoro. Ossia nel caso in cui, nei tre anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni, amministrative o penali, per gli stessi illeciti.