I limiti quantitativi applicabili alle imprese che vogliono utilizzare contratti a termine (diretti o in regime di somministrazione) dopo il decreto dignità sono diventati molto complessi e articolati.
Per comprendere questi limiti bisogna partire dalla base di computo: il personale a tempo indeterminato presente in azienda (nell’intero corpo aziendale, senza distinzioni tra unità produttive) al 1° gennaio di ciascun anno. Questo numero resta fermo sino al 1° gennaio dell’anno successivo, anche se nel frattempo l’organico aziendale cambia: così, ad esempio, se al 1° gennaio di questo anno un’impresa aveva alle proprie dipendenze 100 lavoratori, il valore da considerare resta fisso sino al 1° gennaio 2019, anche se durante l’anno intervengono licenziamenti o assunzioni.
Una volta definita la base di calcolo, ciascun datore può assumere lavoratori con contratto a tempo determinato diretto sino a un numero massimo del 20 per cento di tale valore.
Non rientrano nella soglia alcuni contratti come ad esempio quelli stagionali, sostitutivi, over 50, spettacoli, nuove attività, ricerca, per i quali non c’è limite. Accanto a questo tetto, se ne applica un altro: la somma tra contratti a termine diretti ed eventuali rapporti di somministrazione a tempo determinato non può superare il 30 per cento dell’organico.
Il datore di lavoro può usare tutta la percentuale del 30 per cento per i contratti di somministrazione, oppure combinarli in misura differente, senza dover rispettare (per tali rapporti) le soglie massime applicabili ai contratti diretti. Così, nell’esempio ricordato, si possono impiegare sino a 30 somministrati a termine, oppure 15 somministrati e 15 lavoratori a termine diretti, oppure 25 somministrati e 5 diretti; non può mai superare, invece, la soglia di 20 lavoratori diretti.